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Vinitaly – Il nostro catarratto sull’ARCA

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VERONA

di MASSIMO BRUCATO

Il protagonista di questo articolo sarà un nostro vitigno, il Catarratto. É uno dei vitigni a bacca bianca tra i più diffusi nel territorio isolano. Se ne coltivano tre tipologie: il bianco comune, il lucido e l’extra lucido. Vitigni poco considerati, in passato, per la preparazione di vini di qualità e quindi sottovalutati. Fino a quando qualche enologo, seguito da produttori consapevoli, é riuscito a tirare fuori vini Affascinanti che nulla hanno a che vedere con quelli banali che dominavano il mercato. Perciò, appena entrato in fiera, mentre il ministro Lollobrigida sfila tra i padiglioni, mi fiondo verso la sala convegni del Padiglione Sicilia, dove si presenta l’ARCA, cioé la neonata Associazione Regionale del Catarratto Autentico. E mi si dice che l’autenticità è legata al fatto che non vengono utilizzati altri vitigni nel processo di vinificazione. Sui tavoli pronti per la
degustazione c’è una tovaglietta di carta con impresso il logo dell’associazione. Sopra tre bicchieri, in attesa dei vini. Sulle poltrone dei relatori si accomodano Sebastiano Di Bella, presidente dell’Associazione nonché produttore, e Tonino Guzzo, l’enologo agrigentino che ha determinato la svolta qualitativa dei vini fatti col catarratto. Modera il tutto Andrea Amedei, conduttore di Decanter, programma di Radio2.
Scopriamo che al momento sono solo nove le aziende che hanno aderito all’associazione. Tre sono della provincia di Palermo: Castellucci Miano, Feudo Disisa e l’Azienda Di Bella. Poi ci sono
Caruso Minini, della provincia di Trapani, le Tenute Lombardo, del territorio di Caltanissetta e, infine, l’azienda agrigentina Bagliesi. I vini vengono versati nei calici. Si assaggia un catarratto
fermo del 2024, un metodo classico che ha riposato 36 mesi sui lieviti e un altro vino fermo del 2008, dunque imbottigliato più di quindici anni fa. Si assaggia alla cieca ma non ho difficoltà a
riconoscere i due vini fermi. Il primo, l’annata 2024, ti colpisce immediatamente. Naso ricco e affascinante e la bocca che apprezza sapidità e freschezza, che durano a lungo. Davvero un bel bere.
Il metodo classico è piacevole ma vorresti che avesse passato un altro po’ di mesi sui lieviti, per ricavarne profondità e complessità. Infine il catarratto 2008. Sorprendente per la sua piacevolezza,
col colore più carico, gli aromi che ovviamente non possono avere i caratteri del primo catarratto, ma tirano fuori profumi floreali e di miele. La testimonianza di come un grande vino, anche bianco,
possa mantenersi ad alti livelli dopo tanto tempo. A questo punto vi dico quello che abbiamo assaggiato:
– il catarratto 2024 è il Masí, dell’azienda Bagliesi di Naro;
– il metodo classico è Arya di Caruso & Minini, di Marsala;
– il catarratto 2008 è lo Shyarà di Castellucci Miano, di Valledolmo.
Enologo della prima e della terza cantina è Tonino Guzzo.
Siamo ai saluti di commiato e io penso a qualcosa che avevo letto un po’ di tempo fa a proposito dei Catarratto Boys, un gruppo di giovani produttori legati a Slow Food e, in particolare a Slow Wine, la guida dei vini legata all’associazione. Il catarratto in auge dunque e questo ci fa molto piacere.

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